Trattato di messer Sebastiano Erizzo dell'instrumento et via inuentrice degli antichi
Persona, Umanista e numismatico italiano
Periodo: 1525 - 1585
Note biografiche: Letterato ed erudito, nato a Venezia da famiglia patrizia, fu senatore e membro autorevole del Consiglio dei Dieci. Tradusse alcuni dialoghi di Platone, commentò tre canzoni del Petrarca e si occupò di numismatica insieme a Enea Vico stabilendone i principi. La sua opera giovanile, una raccolta di novelle dal titolo "Le sei giornate" pubblicata nel 1567 racconta una serie di trentasei "avvenimenti esemplari e morali ragionamenti in sei giornate, da una onesta brigata di sei giovani scolari forastieri, nella calda stagione dell'anno 1542". Gli "esemplari avvenimenti" sono prolisse esercitazioni retoriche su aneddoti offerti per lo più dai "Fatti e detti" di Valerio Massimo. La personalità dello scrittore viene fuori dalle pompose orazioni che mette in bocca ai suoi personaggi, dalle considerazioni morali e dallo stile fiorito, che lo pone tra i più bravi imitatori del Boccaccio.
Lingua: Italiano
Paese: Italia
Periodo: 1525 - 1585
Note biografiche: Letterato ed erudito, nato a Venezia da famiglia patrizia, fu senatore e membro autorevole del Consiglio dei Dieci. Tradusse alcuni dialoghi di Platone, commentò tre canzoni del Petrarca e si occupò di numismatica insieme a Enea Vico stabilendone i principi. La sua opera giovanile, una raccolta di novelle dal titolo "Le sei giornate" pubblicata nel 1567 racconta una serie di trentasei "avvenimenti esemplari e morali ragionamenti in sei giornate, da una onesta brigata di sei giovani scolari forastieri, nella calda stagione dell'anno 1542". Gli "esemplari avvenimenti" sono prolisse esercitazioni retoriche su aneddoti offerti per lo più dai "Fatti e detti" di Valerio Massimo. La personalità dello scrittore viene fuori dalle pompose orazioni che mette in bocca ai suoi personaggi, dalle considerazioni morali e dallo stile fiorito, che lo pone tra i più bravi imitatori del Boccaccio.
Lingua: Italiano
Paese: Italia
Persona, Poligrafo
Ruolo: Curatore, Dedicatore
Periodo: 1518 circa - 1566
Note biografiche: Proveniente da una famiglia di “spadari” che dal 1479 figurava tra le famiglie patrizie di Viterbo, si trasferì in giovane età ad Aquileia presso la corte del cardinal Marino Grimani, dove fu educato agli studi classici e alla letteratura antica. Assecondando tali interessi fu in seguito a Padova, dove frequentò l'ateneo, e quindi a Roma; qui, influenzato dalle tendenze dei circoli aristocratici e partecipe del fertile clima intellettuale dell'epoca, fondò nel 1541 l'Accademia dello Sdegno. Si trasferì poi a Napoli presso la corte di Alfonso d'Avalos, ricoprendo l'incarico di segretario e poeta di corte fino al decesso di questi, avvenuto nel 1546. Nel 1549 si mosse a Venezia, attirato dalla fiorente industria tipografica e dal nascente mercato editoriale, dove trovò impiego presso l'editore Enrico Valgrisi. Nella città lagunare, dove restò fino alla sua morte, si sposò con Virginia Panarelli, sorellla di Teofilo finito al rogo a Roma come eretico. Intellettuale eclettico ed estremamente prolifico, fu curatore con Lodovico Dolce e Lodovico Domenichi di un'importante raccolta di Rime diverse di molti eccellenti autori, in nove libri (Vinetia, appresso Gabriel Giolito di Ferrarii, 1545–1560) e autore del trattato "Del modo di comporre in versi nella lingua italiana" (Venetia, appresso Gio. Battista, & Melchior Sessa fratelli, 1559), integrato da un rimario che ebbe vasta e durevole fama; esso venne accresciuto e migliorato da fra Tommaso Stigliani e da Pompeo Colonna principe di Gallicano, e ripubblicato dal primo nell' "Arte del verso italiano" (Roma, per Angelo Bernabò dal Verme, 1658). Ruscelli affiancò allo studio dei classici la passione per i cosiddetti «libri di secreti», manuali pratici contenenti suggerimenti quotidiani di medicina empirica, cucina, alchimia, spezieria e farmacologia, che nel quadro editoriale dell'epoca si collocavano tra testi colti e tradizione popolare, ben rispondendo alle crescenti esigenze di divulgazione e democratizzazione del sapere che stavano facendo la fortuna dei libri a stampa. La raccolta De' secreti del reverendo donno Alessio Piemontese libro primo, la cui prima edizione risale al 1555 e che per la scelta di essere pubblicata sotto uno pseudonimo segnala la volontà dell'autore di collocarla ai margini della sua produzione, fu invece tra le sue opere più felici, e uno tra i più diffusi trattati di secretistica del periodo tra i secc. XVI–XVII. Essa venne ristampata con aggiunte e integrazioni, e nei vent'anni successivi conobbe circa sessanta edizioni, anche in latino, tedesco, inglese e francese, fino all'ultima nota, stampata a Venezia presso Francesco Locatelli nel 1783. Solo nell'edizione voluta dal nipote di Ruscelli che era in possesso del manoscritto originale, e apparsa postuma con il titolo Secreti nuovi di maravigliosa virtù (Venetia, appresso li heredi di m. Marchio Sessa, 1567), si rivela il vero nome dell'autore. Nell'importante prefazione lo stesso autore informa dell'esistenza di un'accademia segreta, di cui non vi sono riscontri in altre fonti, che avrebbe operato per circa un decennio a partire dai primi anni Quaranta del XVI secolo nel Regno di Napoli, probabilmente a Salerno, sotto la protezione di Ferrante Sanseverino, proponendosi di sottoporre a verifica il maggior numero di «segreti» per verificarne l'efficacia. La sua attività nell'editoria colta e nel dibattito intellettuale proseguiva negli anni immutata: intervenne più volte nei dibattiti apertisi in risposta alle "Prose" della volgar lingua di Pietro Bembo, criticò in numerose circostanze alcuni usi linguistici danteschi, attribuendo alla sua «immensa trascuraggine» l'abuso, a suo dire ricorrente presso i rimatori coevi, di artifici stilistici quali lo iato e la dieresi e condannando numerose scelte lessicali dell'autore della Divina Commedia. Curatore e commentatore dei principali autori classici (Tre discorsi a m. Lodovico Dolce. L'uno intorno al Decamerone del Boccaccio, l'altro all'Osservationi della lingua volgare, et il terzo alla tradottione dell'Ovidio, Venezia, Plinio Pietrasanta, 1553), di un'edizione del Decameron (Venetia, appresso Vicenzo Valgrisio, alla bottega d'Erasmo, 1552) e di un'edizione dell'Orlando Furioso (Venezia, Giovanni Battista e Melchior Sessa, 1558), tra le altre opere che maggiormente contribuirono alla sua fama va annoverata la volgarizzazione della Geografia di Tolomeo (Venetia, appresso Vincenzo Valgrisi, 1561). Della sua vastissima produzione, meritano inoltre di essere citate le opere: "Le imprese illustri con espositioni, et discorsi" (Venetia, appresso Francesco Rampazzetto, 1566), in tre volumi, successivamente integrati da Vincenzo Ruscelli, nipote dell'autore e, stando al Moroni, buon letterato anch'egli, con il volume Il quarto libro delle imprese illustri con figure di stampe di rame (Venetia, s.n., 1583); "De' comentarii della lingua italiana" (Venetia, appresso Damian Zenaro, alla Salamandra, 1581); "Vocabolario delle voci latine dichiarate con l'italiane scelte da' migliori scrittori" (Venetia, appresso gli heredi di Valerio Bonelli, 1588)
Lingua: Italiano
Paese: Italia
Ruolo: Curatore, Dedicatore
Periodo: 1518 circa - 1566
Note biografiche: Proveniente da una famiglia di “spadari” che dal 1479 figurava tra le famiglie patrizie di Viterbo, si trasferì in giovane età ad Aquileia presso la corte del cardinal Marino Grimani, dove fu educato agli studi classici e alla letteratura antica. Assecondando tali interessi fu in seguito a Padova, dove frequentò l'ateneo, e quindi a Roma; qui, influenzato dalle tendenze dei circoli aristocratici e partecipe del fertile clima intellettuale dell'epoca, fondò nel 1541 l'Accademia dello Sdegno. Si trasferì poi a Napoli presso la corte di Alfonso d'Avalos, ricoprendo l'incarico di segretario e poeta di corte fino al decesso di questi, avvenuto nel 1546. Nel 1549 si mosse a Venezia, attirato dalla fiorente industria tipografica e dal nascente mercato editoriale, dove trovò impiego presso l'editore Enrico Valgrisi. Nella città lagunare, dove restò fino alla sua morte, si sposò con Virginia Panarelli, sorellla di Teofilo finito al rogo a Roma come eretico. Intellettuale eclettico ed estremamente prolifico, fu curatore con Lodovico Dolce e Lodovico Domenichi di un'importante raccolta di Rime diverse di molti eccellenti autori, in nove libri (Vinetia, appresso Gabriel Giolito di Ferrarii, 1545–1560) e autore del trattato "Del modo di comporre in versi nella lingua italiana" (Venetia, appresso Gio. Battista, & Melchior Sessa fratelli, 1559), integrato da un rimario che ebbe vasta e durevole fama; esso venne accresciuto e migliorato da fra Tommaso Stigliani e da Pompeo Colonna principe di Gallicano, e ripubblicato dal primo nell' "Arte del verso italiano" (Roma, per Angelo Bernabò dal Verme, 1658). Ruscelli affiancò allo studio dei classici la passione per i cosiddetti «libri di secreti», manuali pratici contenenti suggerimenti quotidiani di medicina empirica, cucina, alchimia, spezieria e farmacologia, che nel quadro editoriale dell'epoca si collocavano tra testi colti e tradizione popolare, ben rispondendo alle crescenti esigenze di divulgazione e democratizzazione del sapere che stavano facendo la fortuna dei libri a stampa. La raccolta De' secreti del reverendo donno Alessio Piemontese libro primo, la cui prima edizione risale al 1555 e che per la scelta di essere pubblicata sotto uno pseudonimo segnala la volontà dell'autore di collocarla ai margini della sua produzione, fu invece tra le sue opere più felici, e uno tra i più diffusi trattati di secretistica del periodo tra i secc. XVI–XVII. Essa venne ristampata con aggiunte e integrazioni, e nei vent'anni successivi conobbe circa sessanta edizioni, anche in latino, tedesco, inglese e francese, fino all'ultima nota, stampata a Venezia presso Francesco Locatelli nel 1783. Solo nell'edizione voluta dal nipote di Ruscelli che era in possesso del manoscritto originale, e apparsa postuma con il titolo Secreti nuovi di maravigliosa virtù (Venetia, appresso li heredi di m. Marchio Sessa, 1567), si rivela il vero nome dell'autore. Nell'importante prefazione lo stesso autore informa dell'esistenza di un'accademia segreta, di cui non vi sono riscontri in altre fonti, che avrebbe operato per circa un decennio a partire dai primi anni Quaranta del XVI secolo nel Regno di Napoli, probabilmente a Salerno, sotto la protezione di Ferrante Sanseverino, proponendosi di sottoporre a verifica il maggior numero di «segreti» per verificarne l'efficacia. La sua attività nell'editoria colta e nel dibattito intellettuale proseguiva negli anni immutata: intervenne più volte nei dibattiti apertisi in risposta alle "Prose" della volgar lingua di Pietro Bembo, criticò in numerose circostanze alcuni usi linguistici danteschi, attribuendo alla sua «immensa trascuraggine» l'abuso, a suo dire ricorrente presso i rimatori coevi, di artifici stilistici quali lo iato e la dieresi e condannando numerose scelte lessicali dell'autore della Divina Commedia. Curatore e commentatore dei principali autori classici (Tre discorsi a m. Lodovico Dolce. L'uno intorno al Decamerone del Boccaccio, l'altro all'Osservationi della lingua volgare, et il terzo alla tradottione dell'Ovidio, Venezia, Plinio Pietrasanta, 1553), di un'edizione del Decameron (Venetia, appresso Vicenzo Valgrisio, alla bottega d'Erasmo, 1552) e di un'edizione dell'Orlando Furioso (Venezia, Giovanni Battista e Melchior Sessa, 1558), tra le altre opere che maggiormente contribuirono alla sua fama va annoverata la volgarizzazione della Geografia di Tolomeo (Venetia, appresso Vincenzo Valgrisi, 1561). Della sua vastissima produzione, meritano inoltre di essere citate le opere: "Le imprese illustri con espositioni, et discorsi" (Venetia, appresso Francesco Rampazzetto, 1566), in tre volumi, successivamente integrati da Vincenzo Ruscelli, nipote dell'autore e, stando al Moroni, buon letterato anch'egli, con il volume Il quarto libro delle imprese illustri con figure di stampe di rame (Venetia, s.n., 1583); "De' comentarii della lingua italiana" (Venetia, appresso Damian Zenaro, alla Salamandra, 1581); "Vocabolario delle voci latine dichiarate con l'italiane scelte da' migliori scrittori" (Venetia, appresso gli heredi di Valerio Bonelli, 1588)
Lingua: Italiano
Paese: Italia
Persona, cardinale di Santa Croce
Ruolo: Dedicatario
Periodo: 1501 - 1555
Note biografiche: Nacque nelle Marche, a Montefano in Provincia di Macerata, da una nobile famiglia toscana originaria di Montepulciano (Siena), per questo fu allevato e educato nella città toscana. Dopo la prematura morte della madre, Marcello ricevette la prima educazione dal padre, il conte Riccardo Cervini, uomo di profonda cultura, che aveva servito il Papa Innocenzo VIII come “Scrittore della Penitenzieria Apostolica”. A Castiglione d'Orcia presso Montepulciano, dove i Cervini possedevano un podere, egli apprese le prime “Nozioni della Grammatica, della Retorica, della Geometria e dell'Astronomia, e il padre lo ammaestrò anche nell'attività pratica della Meccanica e dell'Agricoltura”. Marcello sapeva conciliare le sue relazioni, coltivate peraltro raramente, con gli studi e con la sua profonda religiosità, e si asteneva quasi completamente dal bere, dal gioco e dai divertimenti. Per approfondire la sua istruzione il padre lo inviò a Siena, dove studiò Dialettica greca e Matematica non trascurando però l'Astronomia, l'Architettura, l'Archeologia, ma soprattutto le materie umanistiche. Il padre lo mandò infine a Roma, dove poté completare i suoi studi ed ebbe l'opportunità di mettersi in evidenza presso la Corte pontificia. Nel 1525, a Roma termina per Papa Clemente VII (Giulio dei Medici, 1523–1534) la correzione del Calendario, già avviata dal padre. Durante il periodo della sua dimora romana Marcello ebbe occasione di entrare in contatto con i maggiori umanisti del tempo, con i quali disquisiva a pari livello e quando stava per ottenere un prestigioso incarico in Curia, nel maggio del 1526, fu richiamato dal padre a Siena a causa del diffondersi della peste. Dopo la morte del padre, avvenuta il 2 aprile 1534, Marcello affidò l'amministrazione delle sue proprietà ai fratellastri Alessandro e Romolo, figli della seconda moglie di Riccardo, Leonora Egidi Cacciaconti. La sorellastra Cinzia, che sposò appena dodicenne Vincenzo Bellarmino, generò Roberto, il grande cardinale della Compagnia di Gesù, poi santificato e proclamato Dottore della Chiesa. Ritornato a Roma, Marcello venne accolto da Clemente VII nella Corte pontificia, che gli affidò l'educazione del nipote, il giovane Cardinale Alessandro Farnese. Godette quindi della benevolenza del Cardinale Farnese, il quale, divenuto poi Papa Paolo III (1534–1549), lo volle segretario di suo nipote Cardinale Alessandro; in tal modo quando Paolo III nomina Alessandro alla Segreteria di Stato, Marcello perviene ai vertici della Diplomazia pontificia tramite la nomina a Protonotario, una delle cariche curiali più prestigiose e influenti; ebbe quindi un ruolo importante nella Politica dello Stato pontificio e nelle questioni religiose. Nel 1539 segue la legazione presso l'imperatore Carlo V. Appena nominato Cardinale il Cervini ricevette subito incarichi di alta diplomazia e di grandissima importanza. Il neo Cardinale Marcello Cervini fu nominato da Paolo III, il 19 Dicembre 1539, Vescovo di Nicastro, (ora Lamezia Terme) ma tenne questo incarico poco tempo (dal 1539 al 1540), amministrando la Diocesi da lontano. Nel Settembre del 1540 gli fu assegnata l'amministrazione della Diocesi di Reggio Calabria. Fu nominato cardinale di Santa Croce in Gerusalemme il 5 Novembre 1540. Convocato nel 1542 il Concilio di Trento, il Cardinale Cervini fu uno dei tre Legati Pontifici e, in qualità di secondo Presidente, vi svolse una parte importante nella fase iniziale di apertura, quando ebbe come collaboratori i Cardinali Giovanni Maria del Monte e Reginaldo Polo. L'anno successivo lo troviamo Vescovo di Reggio Emilia fino al 1544. Nella Primavera del 1544 quella di Gubbio, che per i suoi molteplici impegni affidò, senza tuttavia trascurarla, a un Vicario. Nell'anno seguente (1545) Paolo III lo nominò (insieme ai Cardinali Giovanni Maria Ciocchi del Monte, futuro Papa Giulio III e all'inglese Reginaldo Polo) Legato della Sede Apostolica nella prima fase (1545–1548) del Concilio di Trento (1545–1563). Durante la difficile situazione sopraggiunta nell'estate del 1546 a causa dell'atteggiamento degli imperiali, il Cervini procedette secondo i rigidi punti di vista ecclesiastici. Egli era favorevole al trasferimento del Concilio in un luogo più sicuro; l'imperatore Carlo V voleva mantenerlo a Trento. Ma il Cervini sostenne in una sua dichiarazione del 10 Marzo 1547 che il Concilio dovesse essere trasferito a Bologna, come di fatto avvenne. Marcello Presiedette a questo Concilio con grande libertà d'animo nel difendere la potestà e l'autorità pontificia secondo rigidi punti di vista ecclesiastici. Di fatto ne condusse i lavori come Presidente effettivo. Nel 1548 Paolo III lo nominò Bibliotecario Apostolico, incarico che gli fu rinnovato a vita da Papa Giulio III (1550–1555). Giulio III (Giovan Maria Ciocchi del Monte) lo nominò Presidente della Commissione per la riforma ecclesiastica (Nel Settembre 1549 indisse a Gubbio il Sinodo diocesano, dal quale scaturirono numerose disposizioni di notevole importanza sul modo di comportarsi dei sacerdoti e dei religiosi, sul loro vestire, sul come custodire i luoghi e gli arredi sacri; in questo periodo, tra l'altro, si fece promotore di ricerche storiche e archeologiche.) ma ne venne in seguito escluso per aver criticato la politica nepotista del Pontefice. Di fatto il Cardinale Cervini si stava avvicinando gradualmente alle posizioni intransigenti del Cardinale Gian Pietro Carafa (futuro Papa Paolo IV) distaccandosi dal riformismo iniziale. Nel Febbraio del 1551 Marcello Cervini era membro con altri sei cardinali dell'Inquisizione romana, e dal 1550 al 1555 fu protettore dell'Ordine religioso dei Servi di Maria, compito esercitato non solamente come carica onorifica, ma con quello zelo che gli era da tutti riconosciuto. Stentando a guarirsi da una grave malattia, il 17 Marzo 1555, fece ritorno alla Città natale di Montefano per ritemprare il suo corpo ammalatosi di Nefrite e per recarsi in visita alla Santa Casa della Madonna di Loreto di cui era particolarmente devoto. Proprio in quei giorni (23 Marzo 1555) moriva Papa Giulio III, e i cardinali riunitisi in conclave il 9 Aprile 1555 elessero a Papa il Cardinale Mattia Cervini, per acclamazione, seguendo l'indicazione data dal Cardinale Gian Pietro Carafa. Il Cardinale Cervini godeva infatti di un'alta reputazione per la sua integrità morale e per le sue grandi doti spirituali. Fu incoronato il 10 Aprile 1555. Il nuovo Pontefice non volle cambiare il suo nome di Battesimo per venerazione del lontano omonimo predecessore S. Marcello I (307–309), al quale i montefanesi avevano intitolato sia la chiesa, poi demolita, sia il borgo tutt'oggi esistente. Fu l'ultimo pontefice a non cambiare nome all'atto dell'elezione. Appena eletto, Marcello Cervini dette subito l'impronta della sua spiccata personalità applicando con severità lo spirito del Concilio. Si mostrò subito contrario al nepotismo e per dare il giusto esempio vietò al fratello Alessandro, alla sorella Cinzia (mamma del futuro San Roberto Bellarmino) e agli altri suoi parenti di raggiungerlo a Roma. Fu altrettanto intenzionato a tenersi lontano dalla politica per esaltare il ruolo spirituale del successore di Pietro. E' rimasta nella storia la sua idea di abolire anche la Guardia Svizzera. Il denaro occorrente per la sua incoronazione fu devoluto, per sua volontà, ai poveri. Appena entrato nei sacri palazzi dette ordine di ridurre il lusso e le spese della corte papale, per meglio opporsi alla Riforma protestante e toglierle motivi di accusa. Nell'attuazione dei suoi progetti di riforma Marcello II preferiva servirsi specialmente dei Gesuiti, seguaci del suo amico Ignazio di Loyola. Quando la fama delle virtù e della santità di questo Pontefice cominciava a diffondersi per tutto il mondo cristiano, a Roma gli amici della Riforma erano in apprensione per la sua salute. Purtroppo il suo Pontificato fu brevissimo. Marcello II morì nella notte tra il 30 aprile e il 1 Maggio 1555, dopo solo 21 giorni di pontificato a causa di un attacco apoplettico. L'improvvisa scomparsa di un così grande uomo destò profonda impressione ovunque. L'imperatore Carlo V, il Re di Francia, tutti i potenti furono colpiti dal grave lutto della cristianità, ma soprattutto quelli che lo avevano seguito nella strada della riforma si sentirono privati di una guida sicura e forte, perché, nonostante la brevità del suo governo, egli fu considerato il primo Papa della Riforma cattolica. Marcello II era vissuto in semplicità apostolica, e così fu anche sepolto. I suoi resti riposano nelle Grotte sotto la Basilica di San Pietro.
Lingua: Italiano
Paese: Italia
Ruolo: Dedicatario
Periodo: 1501 - 1555
Note biografiche: Nacque nelle Marche, a Montefano in Provincia di Macerata, da una nobile famiglia toscana originaria di Montepulciano (Siena), per questo fu allevato e educato nella città toscana. Dopo la prematura morte della madre, Marcello ricevette la prima educazione dal padre, il conte Riccardo Cervini, uomo di profonda cultura, che aveva servito il Papa Innocenzo VIII come “Scrittore della Penitenzieria Apostolica”. A Castiglione d'Orcia presso Montepulciano, dove i Cervini possedevano un podere, egli apprese le prime “Nozioni della Grammatica, della Retorica, della Geometria e dell'Astronomia, e il padre lo ammaestrò anche nell'attività pratica della Meccanica e dell'Agricoltura”. Marcello sapeva conciliare le sue relazioni, coltivate peraltro raramente, con gli studi e con la sua profonda religiosità, e si asteneva quasi completamente dal bere, dal gioco e dai divertimenti. Per approfondire la sua istruzione il padre lo inviò a Siena, dove studiò Dialettica greca e Matematica non trascurando però l'Astronomia, l'Architettura, l'Archeologia, ma soprattutto le materie umanistiche. Il padre lo mandò infine a Roma, dove poté completare i suoi studi ed ebbe l'opportunità di mettersi in evidenza presso la Corte pontificia. Nel 1525, a Roma termina per Papa Clemente VII (Giulio dei Medici, 1523–1534) la correzione del Calendario, già avviata dal padre. Durante il periodo della sua dimora romana Marcello ebbe occasione di entrare in contatto con i maggiori umanisti del tempo, con i quali disquisiva a pari livello e quando stava per ottenere un prestigioso incarico in Curia, nel maggio del 1526, fu richiamato dal padre a Siena a causa del diffondersi della peste. Dopo la morte del padre, avvenuta il 2 aprile 1534, Marcello affidò l'amministrazione delle sue proprietà ai fratellastri Alessandro e Romolo, figli della seconda moglie di Riccardo, Leonora Egidi Cacciaconti. La sorellastra Cinzia, che sposò appena dodicenne Vincenzo Bellarmino, generò Roberto, il grande cardinale della Compagnia di Gesù, poi santificato e proclamato Dottore della Chiesa. Ritornato a Roma, Marcello venne accolto da Clemente VII nella Corte pontificia, che gli affidò l'educazione del nipote, il giovane Cardinale Alessandro Farnese. Godette quindi della benevolenza del Cardinale Farnese, il quale, divenuto poi Papa Paolo III (1534–1549), lo volle segretario di suo nipote Cardinale Alessandro; in tal modo quando Paolo III nomina Alessandro alla Segreteria di Stato, Marcello perviene ai vertici della Diplomazia pontificia tramite la nomina a Protonotario, una delle cariche curiali più prestigiose e influenti; ebbe quindi un ruolo importante nella Politica dello Stato pontificio e nelle questioni religiose. Nel 1539 segue la legazione presso l'imperatore Carlo V. Appena nominato Cardinale il Cervini ricevette subito incarichi di alta diplomazia e di grandissima importanza. Il neo Cardinale Marcello Cervini fu nominato da Paolo III, il 19 Dicembre 1539, Vescovo di Nicastro, (ora Lamezia Terme) ma tenne questo incarico poco tempo (dal 1539 al 1540), amministrando la Diocesi da lontano. Nel Settembre del 1540 gli fu assegnata l'amministrazione della Diocesi di Reggio Calabria. Fu nominato cardinale di Santa Croce in Gerusalemme il 5 Novembre 1540. Convocato nel 1542 il Concilio di Trento, il Cardinale Cervini fu uno dei tre Legati Pontifici e, in qualità di secondo Presidente, vi svolse una parte importante nella fase iniziale di apertura, quando ebbe come collaboratori i Cardinali Giovanni Maria del Monte e Reginaldo Polo. L'anno successivo lo troviamo Vescovo di Reggio Emilia fino al 1544. Nella Primavera del 1544 quella di Gubbio, che per i suoi molteplici impegni affidò, senza tuttavia trascurarla, a un Vicario. Nell'anno seguente (1545) Paolo III lo nominò (insieme ai Cardinali Giovanni Maria Ciocchi del Monte, futuro Papa Giulio III e all'inglese Reginaldo Polo) Legato della Sede Apostolica nella prima fase (1545–1548) del Concilio di Trento (1545–1563). Durante la difficile situazione sopraggiunta nell'estate del 1546 a causa dell'atteggiamento degli imperiali, il Cervini procedette secondo i rigidi punti di vista ecclesiastici. Egli era favorevole al trasferimento del Concilio in un luogo più sicuro; l'imperatore Carlo V voleva mantenerlo a Trento. Ma il Cervini sostenne in una sua dichiarazione del 10 Marzo 1547 che il Concilio dovesse essere trasferito a Bologna, come di fatto avvenne. Marcello Presiedette a questo Concilio con grande libertà d'animo nel difendere la potestà e l'autorità pontificia secondo rigidi punti di vista ecclesiastici. Di fatto ne condusse i lavori come Presidente effettivo. Nel 1548 Paolo III lo nominò Bibliotecario Apostolico, incarico che gli fu rinnovato a vita da Papa Giulio III (1550–1555). Giulio III (Giovan Maria Ciocchi del Monte) lo nominò Presidente della Commissione per la riforma ecclesiastica (Nel Settembre 1549 indisse a Gubbio il Sinodo diocesano, dal quale scaturirono numerose disposizioni di notevole importanza sul modo di comportarsi dei sacerdoti e dei religiosi, sul loro vestire, sul come custodire i luoghi e gli arredi sacri; in questo periodo, tra l'altro, si fece promotore di ricerche storiche e archeologiche.) ma ne venne in seguito escluso per aver criticato la politica nepotista del Pontefice. Di fatto il Cardinale Cervini si stava avvicinando gradualmente alle posizioni intransigenti del Cardinale Gian Pietro Carafa (futuro Papa Paolo IV) distaccandosi dal riformismo iniziale. Nel Febbraio del 1551 Marcello Cervini era membro con altri sei cardinali dell'Inquisizione romana, e dal 1550 al 1555 fu protettore dell'Ordine religioso dei Servi di Maria, compito esercitato non solamente come carica onorifica, ma con quello zelo che gli era da tutti riconosciuto. Stentando a guarirsi da una grave malattia, il 17 Marzo 1555, fece ritorno alla Città natale di Montefano per ritemprare il suo corpo ammalatosi di Nefrite e per recarsi in visita alla Santa Casa della Madonna di Loreto di cui era particolarmente devoto. Proprio in quei giorni (23 Marzo 1555) moriva Papa Giulio III, e i cardinali riunitisi in conclave il 9 Aprile 1555 elessero a Papa il Cardinale Mattia Cervini, per acclamazione, seguendo l'indicazione data dal Cardinale Gian Pietro Carafa. Il Cardinale Cervini godeva infatti di un'alta reputazione per la sua integrità morale e per le sue grandi doti spirituali. Fu incoronato il 10 Aprile 1555. Il nuovo Pontefice non volle cambiare il suo nome di Battesimo per venerazione del lontano omonimo predecessore S. Marcello I (307–309), al quale i montefanesi avevano intitolato sia la chiesa, poi demolita, sia il borgo tutt'oggi esistente. Fu l'ultimo pontefice a non cambiare nome all'atto dell'elezione. Appena eletto, Marcello Cervini dette subito l'impronta della sua spiccata personalità applicando con severità lo spirito del Concilio. Si mostrò subito contrario al nepotismo e per dare il giusto esempio vietò al fratello Alessandro, alla sorella Cinzia (mamma del futuro San Roberto Bellarmino) e agli altri suoi parenti di raggiungerlo a Roma. Fu altrettanto intenzionato a tenersi lontano dalla politica per esaltare il ruolo spirituale del successore di Pietro. E' rimasta nella storia la sua idea di abolire anche la Guardia Svizzera. Il denaro occorrente per la sua incoronazione fu devoluto, per sua volontà, ai poveri. Appena entrato nei sacri palazzi dette ordine di ridurre il lusso e le spese della corte papale, per meglio opporsi alla Riforma protestante e toglierle motivi di accusa. Nell'attuazione dei suoi progetti di riforma Marcello II preferiva servirsi specialmente dei Gesuiti, seguaci del suo amico Ignazio di Loyola. Quando la fama delle virtù e della santità di questo Pontefice cominciava a diffondersi per tutto il mondo cristiano, a Roma gli amici della Riforma erano in apprensione per la sua salute. Purtroppo il suo Pontificato fu brevissimo. Marcello II morì nella notte tra il 30 aprile e il 1 Maggio 1555, dopo solo 21 giorni di pontificato a causa di un attacco apoplettico. L'improvvisa scomparsa di un così grande uomo destò profonda impressione ovunque. L'imperatore Carlo V, il Re di Francia, tutti i potenti furono colpiti dal grave lutto della cristianità, ma soprattutto quelli che lo avevano seguito nella strada della riforma si sentirono privati di una guida sicura e forte, perché, nonostante la brevità del suo governo, egli fu considerato il primo Papa della Riforma cattolica. Marcello II era vissuto in semplicità apostolica, e così fu anche sepolto. I suoi resti riposano nelle Grotte sotto la Basilica di San Pietro.
Lingua: Italiano
Paese: Italia
Persona, Venezia
Ruolo: Tipografo
Periodo: XVI secolo - XVI secolo
Note biografiche: Tipografo attivo a Venezia: fino al 1555 gestì una stamperia di proprietà di Girolamo Ruscelli, del libraio bolognese Giacomo Giglio, e altri soci. Dopo il 1555, ritiratosi Ruscelli dalla società e fallito Giglio, Pietrasanta continuò a lavorare per altri editori, fra cui Francesco Marcolini. Stampò anche edizioni musicali
Lingua: Italiano
Paese: Italia
Ruolo: Tipografo
Periodo: XVI secolo - XVI secolo
Note biografiche: Tipografo attivo a Venezia: fino al 1555 gestì una stamperia di proprietà di Girolamo Ruscelli, del libraio bolognese Giacomo Giglio, e altri soci. Dopo il 1555, ritiratosi Ruscelli dalla società e fallito Giglio, Pietrasanta continuò a lavorare per altri editori, fra cui Francesco Marcolini. Stampò anche edizioni musicali
Lingua: Italiano
Paese: Italia
Persona, Medico e umanista
Ruolo: Dedicatario
Periodo: ? - 1562
Note biografiche: Resta ignota la data di nascita del medico piacentino Bassiano Lando. Insegnante privato di greco e latino a Bologna, Bassiano fu chiamato a Reggio Emilia come lettore pubblico di lettere latine e greche nel biennio 1535–1536. Rifiutatagli per motivi ancora da chiarire una proroga della condotta dal Consiglio della città, Lando ritornò nella casa bolognese per poi trasferirsi a Padova, dove studiò filosofia e medicina, sotto la guida di Giovan Battista Da Monte. Conseguito il dottorato a Venezia il 31 agosto 1542, Lando insegnò privatamente a Padova tra il 1542 e il 1543, anno in cui iniziò la sua carriera accademica presso l'Ateneo patavino: qui ricoprì cattedre di medicina pratica straordinaria, filosofia straordinaria e medicina teorica. Ferito a morte da sette pugnalate davanti alla sua casa la sera del 21 ottobre 1562, Bassiano morì poco dopo, il 31 ottobre. Resta, secondo le sue disposizioni testamentarie, una lapide con inciso solo il suo nome nella chiesa degli Eremitani di Padova. Personaggio rispettato, Lando fu al tempo stesso temuto e odiato soprattutto dai colleghi attaccati dalle sue taglienti definizioni e per la sua posizione alessandrinista sulla mortalità dell'anima. In più di un'occasione ebbe seri problemi con l'ambiente universitario e le autorità veneziane. Nel 1546 Lando curò presso l'editore veneziano Vincenzo Valgrisi, «il libraio al segno d'Erasmo», il "De chirurgica institutione libri quinque" di Jean Tagault, edito a Parigi un anno prima. Dedicò l'edizione al chirurgo padovano Giovanni Antonio Lonigo, incaricato in quegli anni della dissezione pubblica, maestro di Realdo Colombo e figura assai stimata all'interno dell'ambiente accademico padovano. Secondo la testimonianza di Theodor Zwinger, studente e collaboratore di Lando fino al 1559, Bassiano frequentò molte delle figure impegnate nella diffusione della Riforma in Europa dal futuro medico imperiale Crato Von Krafftheim, a Girolamo Donzellini, Oddo degli Oddi – legato a Niccolò Buccella –, al modenese Gabriele Falloppia, tutti possibili intermediari nella pubblicazione dell'opera di Lando. Fu influenzato da Agostino Landi, letterato e latinista, amico di Pietro Bembo, padrino e maestro del medico negli studi padovani, cui Bassiano dedicò nel 1542 "Demosthenis Orationes duae, altera quidem contra Androtionem, altera vero de immunitate adversus Leptinem". Bassiano inoltre testimoniò il suo vivo interesse per la medicina nella dedicatoria ad Ercole II della Iatrologia, in cui affermò che «poetas enim, oratores, philosophos, et caeteros bonos scriptores, evolvendos esse mihi duxi, unde ad ingenii exercitationem aliqua tandem esset rei medicae accessura utilitas». Molte delle opere di Bassiano rimasero inedite e circolanti solo in forma manoscritta. Diversi gli interessi intellettuali che da esse emergono: il rapporto tra filosofia e medicina; l'esigenza di un sapere speculativo, ma capace anche di sperimentare le possibilità di diagnosi e cura; la passione per l'anatomia e la chirurgia; la lotta contro le superstizioni presenti in campo medico; il primato dell'esperienza come unica e vera maestra; la congettura come strumento di immaginazione fondato sulla solidità razionale; la ricerca di nuove basi per una scienza medica aliena dai sofismi accademici
Lingua: Italiano
Paese: Italia
Ruolo: Dedicatario
Periodo: ? - 1562
Note biografiche: Resta ignota la data di nascita del medico piacentino Bassiano Lando. Insegnante privato di greco e latino a Bologna, Bassiano fu chiamato a Reggio Emilia come lettore pubblico di lettere latine e greche nel biennio 1535–1536. Rifiutatagli per motivi ancora da chiarire una proroga della condotta dal Consiglio della città, Lando ritornò nella casa bolognese per poi trasferirsi a Padova, dove studiò filosofia e medicina, sotto la guida di Giovan Battista Da Monte. Conseguito il dottorato a Venezia il 31 agosto 1542, Lando insegnò privatamente a Padova tra il 1542 e il 1543, anno in cui iniziò la sua carriera accademica presso l'Ateneo patavino: qui ricoprì cattedre di medicina pratica straordinaria, filosofia straordinaria e medicina teorica. Ferito a morte da sette pugnalate davanti alla sua casa la sera del 21 ottobre 1562, Bassiano morì poco dopo, il 31 ottobre. Resta, secondo le sue disposizioni testamentarie, una lapide con inciso solo il suo nome nella chiesa degli Eremitani di Padova. Personaggio rispettato, Lando fu al tempo stesso temuto e odiato soprattutto dai colleghi attaccati dalle sue taglienti definizioni e per la sua posizione alessandrinista sulla mortalità dell'anima. In più di un'occasione ebbe seri problemi con l'ambiente universitario e le autorità veneziane. Nel 1546 Lando curò presso l'editore veneziano Vincenzo Valgrisi, «il libraio al segno d'Erasmo», il "De chirurgica institutione libri quinque" di Jean Tagault, edito a Parigi un anno prima. Dedicò l'edizione al chirurgo padovano Giovanni Antonio Lonigo, incaricato in quegli anni della dissezione pubblica, maestro di Realdo Colombo e figura assai stimata all'interno dell'ambiente accademico padovano. Secondo la testimonianza di Theodor Zwinger, studente e collaboratore di Lando fino al 1559, Bassiano frequentò molte delle figure impegnate nella diffusione della Riforma in Europa dal futuro medico imperiale Crato Von Krafftheim, a Girolamo Donzellini, Oddo degli Oddi – legato a Niccolò Buccella –, al modenese Gabriele Falloppia, tutti possibili intermediari nella pubblicazione dell'opera di Lando. Fu influenzato da Agostino Landi, letterato e latinista, amico di Pietro Bembo, padrino e maestro del medico negli studi padovani, cui Bassiano dedicò nel 1542 "Demosthenis Orationes duae, altera quidem contra Androtionem, altera vero de immunitate adversus Leptinem". Bassiano inoltre testimoniò il suo vivo interesse per la medicina nella dedicatoria ad Ercole II della Iatrologia, in cui affermò che «poetas enim, oratores, philosophos, et caeteros bonos scriptores, evolvendos esse mihi duxi, unde ad ingenii exercitationem aliqua tandem esset rei medicae accessura utilitas». Molte delle opere di Bassiano rimasero inedite e circolanti solo in forma manoscritta. Diversi gli interessi intellettuali che da esse emergono: il rapporto tra filosofia e medicina; l'esigenza di un sapere speculativo, ma capace anche di sperimentare le possibilità di diagnosi e cura; la passione per l'anatomia e la chirurgia; la lotta contro le superstizioni presenti in campo medico; il primato dell'esperienza come unica e vera maestra; la congettura come strumento di immaginazione fondato sulla solidità razionale; la ricerca di nuove basi per una scienza medica aliena dai sofismi accademici
Lingua: Italiano
Paese: Italia
Contenuto in
In questo trattato l'autore cerca di individuare il pensiero logico e filosofico degli antichi ed i loro metodi di indagine scientifica, con frequenti riferimenti ai grandi filosofi dell'antichità. Infatti l'opera appare fondata in gran parte sugli insegnamenti di Platone, del quale Erizzo era studioso
Pianta di alloro con cartiglio. Nella cornice del frontespizio
# | Collocazione | Prestabile | Disponibilità | |
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IRCRES (GE) - ISEM | UTENZA: Y.I.1 | No | Biblioteca |