Monografia, Antico

Persona, Medico, filosofo e giurista
Periodo: sec. XVI - sec. XVI
Note biografiche: Nacque a Pordenone probabilmente intorno al 1530. Si laureò in filosofia e medicina all'Università di Padova. Fu cosmologo, cosmografo e 'istorico', cartografo e topografo, astronomo e astrologo, medico e spagirico, viaggiatore e cronachista appassionato d'arte (a Bologna collaborò con Annibale Carracci), scrittore ed enciclopedista, montimbanco e venditore di libri. Frutto particolarmente significativo delle sue esperienze di viaggiatore fu il "Viaggio da Venezia a Costantinopoli" pubblicato a Venezia da Giacomo Franco (1598), ricco di incisioni (di Marco Sadeler), un 'classico' della letteratura odeporica del XVI secolo (ristampato anche in edizione di pregio dalla Società geografica italiana, Roma 2008). 'Filosofo' itinerante, frequentò le piazze e le corti dell'Italia centro–settentrionale, accolto da nobili e da signori, muovendosi da due capitali della cultura europea del Cinquecento, dove tenne aperta una casa prima a Venezia, poi a Firenze dove Rosaccio si stabilì negli anni Novanta iscrivendosi all'«Arte dei medici e speziali» e, come venditore di libri, ponendosi al servizio e sotto la protezione del granduca dal suo 'banco' aperto sulla prestigiosa piazza del Palazzo e dedicando alcune delle sue opere più significative a Ferdinando, a Cosimo II e alla granduchessa Cristina. Sempre nella città dei Medici, il 28 novembre 1606 ottenne il privilegio di stampa per le proprie opere. Nel 1603 a Bologna pubblicò il "Compendio della nobilissima città di Bologna" e, tra il 1607 e il 1608, svolse la sua attività di 'dottore' e astrologo delle piazze, trovandosi a competere con Giovanni Antonio Magini e i suoi allievi, Giovanni Capponi e Giovanni Antonio Roffeni, esponenti di altissimo rilievo nell'ambito della cosmografia, cartografia e astrologia. Con la protezione del cardinal Benedetto Giustiniani, legato pontifico dal 1606 al 1611, Rosaccio si difese dagli attacchi provenienti dall'accademia, in particolare da Roffeni, dal quale era stato additato come ciarlatano. A Bologna Rosaccio godette di largo prestigio, le sue opere sulla sulla medicina preventiva e curativa furono ripetutamente stampate. Con ingegnosità e prudenza svolse la sua professione coniugando il sapere enciclopedico alla scrittura e all'uso del bulino. Dispiegò il suo enciclopedismo inclusivo di matrice aristotelica dal piano della teorica a quello della pratica, nell'ambito della più dignitosa divulgazione della cultura ufficiale in «popular cosmographies». Medico e geografo, Rosaccio seguì «il solco di altri studiosi» come Botero, senza mai scindere l'uomo dalla natura. Rosaccio coniugò la fitta produzione filosofica con l'attività itinerante del cosmografo astronomo e astrologo, leggendo come maestro in privato e in pubblico la 'sfera' celeste e terrestre, che rappresentò graficamente con l'immagine semplificata ma chiara ed eloquente della «cipolla». Interpretò la cosmografia come geografia di tutto il mondo conosciuto – secondo un disegno lungimirante e ambizioso che si realizzò nell'edizione della Geografia di Tolomeo (Venezia, appresso gli heredi di Melchior Sessa, 1598) – e che espresse anche attraverso la cartografia e la topografia: planisferi, carte d'Italia e delle regioni italiane, del Cavallo (della Toscana), dell'Europa e del mondo 'universale'. Rosaccio fu un intellettuale 'integrato', che modulò il suo messaggio culturale e letterario sull'autocelebrazione amplificandolo con l'esaltazione di principi, signori, religiosi, città. Rifuggì, dall'astrologia giudiziaria per inscrivere i propri preannunci nell'ambito dell'astrologia naturale e cristiana, fino a giungere al pronostico 'spirituale' dell'«astrologia della Sacra Scrittura»; fu infatti attento a non incorrere nei lacci della censura in tempi in cui circolarono le idee copernicane sull'Universo. Come medico e guaritore, Rosaccio professò la dottrina ippocratica e galenica, basata sulla teoria degli umori, su astrologia, iatromatematica, regiminen sanitatis, igiene, alimentazione, governo del corpo. La medicina rappresentò per Rosaccio un fruttuoso ambito di studi fino a tarda età, quando pubblicò a Venezia nel 1621 il trattato "Il medico". L'intensa e multiforme attività di Rosaccio è documentata soprattutto dalla sua fitta produzione di 'letteratura di consumo' (dal carattere altamente divulgativo, destinata al pubblico delle piazze e ai signori dei palazzi) che, distribuita in un ampio arco cronologico compreso tra gli anni Settanta del Cinquecento e il 1621, fu pubblicata da tipografi sparsi nelle città più importanti per il mercato editoriale dell'Italia padana e centrale tra Cinque e Seicento, e ristampata anche dopo la morte dell'autore fino a tutto il XVIII secolo: Treviso, Pavia, Milano, Cremona, Brescia, Ferrara, Verona, Venezia, Bologna, Firenze, Genova, Viterbo, Roma, giungendo fino a Napoli. L'esordio tipografico di Rosaccio preannunciò la fortuna che accompagnò tutta la produzione successiva, una costellazione di stampe che in molti casi videro la luce contemporaneamente in più città, con dedicatorie a personaggi illustri diversi, di cui lo stesso Rosaccio compilò un indice. Rosaccio morì nel 1620 circa, forse a Firenze dove viveva. In seguito il suo nome entrò nella leggenda oltre che per le testimonianze letterarie del suo secolo (Lorenzo Lippi, Giovanni Battista Fagiuoli), anche per l'attività svolta dai suoi discendenti, figli e nipoti. Nel 1627 il figlio Giovanni Battista seguì le orme del padre iscrivendosi alle «Arti dei medici e speziali» di Firenze. Il Rosaccio indovinatore del tempo e gazzettiere delle stelle continuò ad apparire nelle intestazioni di lunari in foglio e in opuscolo ancora per tutto il XVIII secolo in varie città, come Modena, Reggio Emilia, Bologna, Firenze. Il Rosaccio viaggiatore, cosmografo e cartografo sopravvisse fino a essere compreso nella storia della cartografia europea del Rinascimento: la sua descrizione di tutte le parti del mondo rappresentò una fonte per gli storici novecenteschi del «primitivismo» nella prima età moderna
Lingua: Italiano
Paese: Italia
Persona, Stampatore e libraio
Ruolo: Tipografo
Periodo: sec. XVI - sec. XVII
Note biografiche: Nacque a Siena poco dopo il 1560. Si trasferì presto a Venezia, dove si inserì nel fervido mondo dei tipografi e dei librai. Dal 1583 iniziò a stampare in nome proprio, conservando orgogliosamente per lunghi anni nella sigla editoriale l'appellativo di "senese". A partire dal 1591 Ciotti divenne proprietario di una sua bottega editoriale e commerciale e cominciò a utilizzare il suo primo marchio tipografico: un medaglione raffigurante una Minerva armata di lancia e scudo, dichiarandosi "stampator e librer alla Minerva" o "al segno della Minerva". Nel 1590 si trovò a Francoforte per lavoro, dove incontrò Giordano Bruno, al quale consegnò l'invito di Mocenigo, nobile veneziano, a trasferirsi a Venezia. Quivi Bruno frequentava abitualmente la sua bottega, dove comprava libri. Dal 1594 il nome Ciotti comparve sui frontespizi di alcune sue pubblicazioni come quello del "libraro e stampatore dell'Accademia venetiana", allora appena risorta, la cui tipografia fu appunto affidata al senese, che ancora nel 1606 firmava una sua prefazione con l'appellativo di "Academico venetiano". Nel 1597 trasferì la sua bottega "al segno dell'Aurora", adottando come emblema quello di una donna celeste tra le nubi con una stella sul capo, che precede il sole diradando le tenebre notturne e dispensando la luce. La sua produzione editoriale si infittì progressivamente a partire dal 1591. Sono stati registrati quasi sessanta libri usciti dalla sua tipografia prima del 1600. Se in qualche raro caso Ciotti aveva preferito associarsi con altri editori per specifiche pubblicazioni particolarmente impegnative, dal 1607 al 1615 si unì invece stabilmente con Bernardo Giunta in una compagnia per i cui nove anni di esistenza si sono potute elencare ottantasette edizioni, con una punta di ben ventotto per il solo 1609. L'intraprendente libraio spesso non si limitava a fungere semplicemente da tipografo, ma assumeva anche 19 funzioni più ambiziose di editore o curatore dei libri che uscivano dalla sua bottega, premettendovi dediche e prefazioni da lui firmate che rivelano il buon livello della sua cultura. Accanto ai libri giuridici e alle opere dei classici, assai numerose sono le edizioni di testi scientifici e soprattutto di opere letterarie e di scritti religiosi e teologici. Nell'estate del 1599 Ciotti fu arrestato e severamente multato dall'Inquisizione, insieme con altri librai veneziani, per aver importato opere proibite dalla Germania. Con alcuni scrittori i suoi rapporti furono burrascosi per esempio Castelvetro, Marino, Tassoni, Stigliani. Sempre attivo e intraprendente, occupato a gestire non facili rapporti personali e d'affari, egli fu impegnato in continui viaggi per il suo lavoro, Francoforte, Ferrara, Napoli, Sicilia in un vortice di rocambolesche disavventure: il naufragio, il sequestro da parte delle autorità inquisitoriali siciliane dei suoi libri, tra cui un'opera di Aretino. Probabilmente i suoi viaggi in Sicilia sono legati ai suoi rapporti d'affari coi Giunti, i quali avevano un'agenzia a Messina e interessi in tutta l'isola. Tale società durò fino al 1615, dopodiché Ciotti riprese la sua piena indipendenza trasportando la sua bottega in Sicilia, dove comparvero a partire dal 1616 e fino al 1622 edizioni di un suo figlio, libraio Francesco Ciotti di origine veneziana. Nel 1625 usciva a Venezia un'edizione delle tre parti della Lira dei Marino "appresso il Giotti", ma lì a poco Ciotti si trasferì nell'isola dove morì a Palermo.
Lingua: Italiano
Paese: Italia
Persona, Stampatore
Ruolo: Tipografo
Periodo: sec. XVI - sec. XVII
Note biografiche: Deuchino è una dinastia di tipografi attivi a Venezia e a Treviso dal 1570 fino almeno al 1629. Pietro fu il capostipite e ribadì nelle primissime stampe la sua nazionalità di "Gallus" o "franzese", ma ben presto vi rinunciò ed italianizzò il proprio nome. L'esordio di Pietro nell'arte veneziana è legato ad un'edizione curiosa e fortunata del 1570: le "Imagines et elogiavirorum illustriumex antiquis lapidibus" di Fulvio Orsini. Questa collezione di monumenti iconografici di ogni tipo, che valse all'autore il titolo di "padre dell'iconografia antica", è infatti illustrata in parte con calcografie con testo inciso, in parte con silografie con testo impresso. Nello stesso anno 1570 Pietro stampò da solo altri due più consistenti volumi: il volgarizzamento ad opera del poligrafo Agostino Ferentilli dei Triginta gradus scalae coelestis di s. Giovanni Climaco e un Enarrationum Evangelicarum thesaurus; negli anni successivi, fino al 1573, si limitò invece ad eseguire lavori commissionatigli da tipografi più affermati, come Giorgio Ferrari, Giordano Ziletti, Bolognino Zaltieri, e dall'editore libraio napoletano Giovanni Aniello De Maria, per cui stampò una riedizione dell'Arssphygmica di Joseph Struthius. Quando morì nel 1581 gli subentrarono gli eredi, oggi sconosciuti, che stamparono fino al 1588 sotto la ragione "Heredi di Pietro Deuchino", proseguendo fedelmente sia i suoi indirizzi editoriali sia la sua salvaguardia della buona qualità della produzione. Dopo il 1588 l'attività degli eredi Deuchino cessò improvvisamente. Evangelista, probabilmente uno degli eredi, tornò a dedicarsi all'arte della stampa dal 1593, non più a Venezia bensì a Treviso. In quell'anno è infatti editore, per i tipi del trevigiano Domenico Amici, della Relazione d'Aristea sul Pentateuco volgarizzata dal canonico veneziano Leonardo Cernoti. Nel 1596 impiantò a Treviso una propria officina, valendosi probabilmente anche di materiali tipografici e silografici già appartenuti all'officina veneziana, e fino al 1605 pubblicò quasi esclusivamente modeste operette di letterati trevigiani e veneti (Girolamo Casoni da Oderzo, Antonio Piccioli da Ceneda, Bartolomeo Burchelati, Giulio Cornelio Graziano, Andrea Menichini, Giovanni Della Torre, Venceslao Brescia, Albrighetto Rinaldi, Gismondo Florio, Giovanni Paolo Trapolin, Mario Gibelli, Bartolomeo Amigio). Sebbene la qualità delle sue stampe andasse gradatamente abbassandosi, pure egli ricevette da Venezia due importanti commissioni: nel 1606 il tipografo editore Roberto Meietti gli affidò la terza edizione della "Praxis universae artis medicae" di Andrea Cesalpino, e l'anno seguente il libraio Giovanni Battista Pulciani si rivolse a lui per la stampa della seconda edizione accresciuta della "Practica medica" di Alessandro Massaria. Evangelista strinse con Pulciani nel 1608 una società temporanea che gli permise di rilanciare la sua attività e di ritornare a Venezia, dove lavorò fino almeno al 1629. I due soci realizzarono tra il 1608 e il '10 edizioni di rilievo quali una Bibbia sistina in–folio (1608), le "Rime" del Tasso in sei volumi (1608) e il trattato "De alimentis" di Bernardino Gagia (1608); poi la società si sciolse. Evangelista stampò altre edizioni tassiane, promosse l'abbondante produzione agiografica e storica di Fortunato Olmo, benedettino di S. Giorgio Maggiore di Venezia, pubblicò testi medici, si cimentò nella calcografia dapprima in alcuni frontespizi, poi in una edizione de "Le immagini degli dei" di Vincenzo Cartari illustrata da novantatré rami (1624). Il suo lavoro più importante è però il corpus di opere del matematico ferrarese Guidobaldo Del Monte stampato nel 1615 a cura del figlio di questo. L'ultima edizione nota di Evangelista è l'"Historia della venuta a Venetia occultamente nel 1177 di papa Alessandro III" di Fortunato Olmo del 1629. I Deuchino usarono due marche. Pietro adottò dal 1575 l'emblema di due ancore legate da un cartiglio con il motto "Plus ultra" ma più spesso "His sufulta", riferimento, più che all'ancora aldina, alle Colonne d'Ercole di Carlo V, e sormontate da tre gigli con il motto "Sic inclita virtus". La marca dei suoi eredi rappresenta invece un cinghiale sotto un melo i cui frutti gli cadono addosso, con il motto "Procellis ditior", invito a saper trarre vantaggio dalle avversità. Evangelista, ripristinò invece dal 1598 la marca di Pietro, privata però dei gigli e sempre con il motto "His sufulta".
Lingua: Francese Antico (842–ca.1400)
Persona, Ambasciatore
Ruolo: Dedicatario
Periodo: (1557–1608)
Note biografiche: Nacque a Venezia, figlio primogenito del patrizio veneziano Giovanni di Francesco e di Marietta di Girolamo Zane. Insieme al fratello più giovane Girolamo, Francesco ebbe il compito di continuare la prestigiosa tradizione familiare negli incarichi pubblici e nelle maggiori ambascerie, seguendo l'esempio del padre e dello zio Giacomo, entrambi procuratori di San Marco. Nel 1581 Soranzo era considerato esperto del mondo delle corti per i suoi precedenti viaggi in cui verosimilmente seguì lo zio Giacomo in qualcuna delle sue missioni, presso l'imperatore Massimiliano II nel 1570 e a Costantinopoli nel 1575, o il padre Giovanni nell'ambasceria romana del 1570–72 e nella onorifica ambasceria straordinaria per la venuta a Venezia del re di Francia Enrico III, nel 1574. Pertanto, in occasione del viaggio dal Friuli a Venezia dell'imperatrice Maria, vedova dell'imperatore Massimiliano II e madre di Rodolfo II, nel novembre 1581 Soranzo fu deputato dagli ambasciatori straordinari, fra cui suo zio Giacomo, ad affiancare la carrozza imperiale per evitare gli accalcamenti dei curiosi. Nel 1582 esordì ufficialmente nella vita pubblica con la sua prima elezione a savio agli Ordini. La sua famiglia era schierata sulle posizioni del patriziato 'vecchio': il padre e lo zio Giacomo erano convinti sostenitori dell'autorità del Consiglio dei dieci. La crisi costituzionale del 1582 e l'abolizione della Zonta del Consiglio non ridussero subito l'influenza dei Soranzo: alla fine di agosto del 1583 Francesco ricevette con altri tre patrizi l'onorevole incarico di accompagnare a Venezia il duca Anne de Joyeuse, favorito del re di Francia Enrico III, e in settembre fu eletto per la seconda volta savio agli Ordini. Ma un grave colpo al prestigio del suo casato venne inferto nel 1584 dall'accusa di rivelazione di segreti di Stato a vantaggio del granduca di Toscana e del pontefice, che indusse il Consiglio dei dieci ad agire sia contro lo zio Giacomo, arrestato e condannato alla relegazione a Capodistria, sia verso il padre Giovanni, che sfuggì all'arresto per un solo voto. Anche Francesco fu sfiorato dai sospetti, ma nessuna accusa formale fu mai mossa contro di lui. Riprese dunque la sua carriera ricoprendo la carica di capitano a Vicenza nel 1592–93. Assieme con il podestà Francesco Longo promulgò su mandato del Consiglio dei dieci la riforma del Consiglio cittadino del febbraio–aprile 1593, che modificò, ma non in maniera decisiva, le precedenti norme del 1541, favorevoli all'oligarchia consiliare. Il principale consiglio cittadino, il Consiglio dei cento, fu ampliato a 150 membri, nominati questa prima volta dal Consiglio dei dieci e poi annualmente rieletti per votazione del consiglio uscente e degli anziani delle arti: una limitata rotazione dei consiglieri fu garantita stabilendo che quindici membri del Consiglio, designati mediante sorteggio, non fossero immediatamente rieleggibili. Nel 1597 Soranzo fu eletto dal Senato ambasciatore ordinario presso il re di Spagna Filippo II, in sostituzione dell'ambasciatore in carica, Agostino Nani, coinvolto in una complessa vertenza con la corte di Madrid in merito all'extraterritorialità dell'ambasciata. Raggiunse Madrid nel 1598 dove rimase in carica anche dopo la morte del re, presso il suo successore Filippo III, che lo creò cavaliere. Durante la sua missione, segnalò al Senato il contegno ambiguo e minaccioso di Pedro Enríquez de Acevedo conte di Fuentes, appena destinato alla carica di governatore di Milano. Un segno eloquente della soddisfazione del Senato e del peso politico di Soranzo fu la sua elezione, ancora in missione, a savio di Terraferma, nel 1600. Conclusa la lunga ambasceria ma durante il viaggio di ritorno fu seriamente ferito a Barcellona in una banale rissa a opera di un certo Raffaele Zagleda. Ristabilitosi, rientrò a Venezia nell'ottobre del 1602 e nelle settimane seguenti presentò al Collegio e al Senato la celebre relazione: si tratta di un vero e proprio trattato sulla monarchia iberica, e, secondo la recente storiografia uno dei più ampi affreschi del pensiero diplomatico veneziano. La relazione descrive la stratificazione della società spagnola, dominata in tutti i ceti dal senso dell'onore e caratterizzata proprio in quegli anni da una rivincita della nobiltà di alto lignaggio, che, emarginata ai tempi di Filippo II, ritrovò posizioni di potere sotto il debole successore, senza dimostrarsi però all'altezza dei compiti di governo di una monarchia i cui interessi geopolitici abbracciavano tutti i continenti. Anche la vantata potenza militare della monarchia non era per Soranzo opera dei soli spagnoli, ma di un esercito cosmopolita, composto da tutte le nazioni d'Europa. In conclusione, Soranzo attribuì alla monarchia spagnola più 'fortuna' che 'virtù'; e la giudicò più adatta a conservare che non a espandere ulteriormente il suo impero. La religiosità stessa degli spagnoli apparve a Soranzo, soprattutto nei suoi aspetti cerimoniali, come una vuota apparenza, nel contesto di una società che aborriva ed emarginava i moriscos e i marrani, pur non potendo fare a meno della loro opera nell'agricoltura e nei commerci. Il Senato, soddisfatto dell'opera diplomatica di Soranzo, lo elesse ambasciatore presso l'imperatore Rodolfo II fin dal 13 settembre 1601. La soddisfazione del Senato per il suo operato fu attestata dall'elezione di Soranzo già prima della fine della sua missione, all'importante carica di savio di Consiglio, nel 1605. Difese nel 1606 alla corte di Praga le ragioni della Repubblica nella controversia dell'interdetto con papa Paolo V, contrastando le pretese del nunzio pontificio, che considerava i veneziani scomunicati. Soranzo scrisse il suo ultimo dispaccio da Praga il 23 luglio 1607 e rientrò a Venezia nel corso dell'estate, quando ormai la Repubblica aveva ristabilito normali rapporti diplomatici con Roma. Presentò al Senato la consueta relazione sulla sua ambasceria, che rimase però inedita. Fu riconfermato in Senato nell'agosto del 1607 e creato nuovo ambasciatore ordinario presso Paolo V, per decisione di un Senato oramai incline alla moderazione: si sapeva infatti che Soranzo era gradito alla Curia romana; ma egli non fece in tempo a raggiungere la sua nuova destinazione perchè morì tra gennaio e febbraio del 1608: il Senato fu obbligato a ritornare sulla sua decisione, trasformando in ambasceria ordinaria a Roma quella straordinaria di Francesco Contarini. Fu sepolto nella chiesa di S. Giustina, nel sestiere di Castello. Nel 1640, a ornamento della facciata disegnata da Baldassarre Longhena, i parenti commissionarono allo scultore Clemente Molli i tre busti in marmo, oggi perduti, di Soranzo, del padre Giovanni e del fratello Girolamo, sotto cui fu collocata un'iscrizione che celebrava i servizi resi alla Repubblica.
Lingua: Italiano
Paese: Italia

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Il libro, corredato di mappe xilografiche, un mappamondo, due carte celesti, e quattordici carte di differenti regioni del globo, raffigura le carte geografiche dell'Europa, le isole britanniche, la Spagna e il Portogallo, la Francia, l'Europa centrale, la Sardegna e la Sicilia, la Russia e le sue frontiere con la Bulgaria e la Lituania, la costa dell'Albania, la costa del mar Egeo, l'oceano Atlantico con le coste americane e africane, l'Africa orientale con le sue coste, l'Asia e l'oceano Indiano e infine l'America e una parte dell'oceano Pacifico

Aurora (donna che tiene una ghirlanda e avanza tra raggi luminosi spargendo fiori). In cornice figurata

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