Periodo: sec. III d.C. circa - sec. IV d.C. circa
Note biografiche: Sono ignote la patria e l'età in cui visse. Probabilmente nacque e dimorò a Roma, e fiorì verso la metà del sec. III d. C. Col suo nome è giunta a noi un'opera intitolata Collectanea rerum memorabilium, una specie di descrizione della Terra o di corografia
Lingua: Latino
Paese: Italia
Ruolo: Traduttore
Periodo: (1549–1589)
Note biografiche:
Giovanni Vincenzo Belprato eresse in Anversa (L'Aquila) un grande monumento sepolcrale a sua moglie Costanza morta improvvisamente e la cantò in sette cupi sonetti che Ludovico Dolce inserì in una raccolta di rime. Tali versi caratterizzano Belprato essenzialmente come "poeta coniugale" accanto a maggiori scrittori quali Tarsia e Rota. La sua attività letteraria più intensa copre gli anni dal 1549 al 1559. Dopo la traduzione dell'opera di Solino si ritirò dalla vita pubblica facendosi ordinare sacerdote dal vescovo di Sulmona Pompeo Zambeccari e lasciò la contea e le terre baronali al suo primogenito Bernardino.
Lingua: Italiano
Paese: Italia
Ruolo: Curatore
Periodo: (1508–1568)
Note biografiche:
Ludovico Dolce lavorò al servizio dei Giolito per i quali tradusse, commentò, plagiò opere antiche e moderne. Bembista nella lirica, scrisse rime, tragedie, poemetti mitologici e biblici, tradusse e imitò Virgilio, Ovidio, Catullo, Orazio, Cicerone, ecc. Si interessò, scrivendo opere al riguardo, delle polemiche sull'utilizzo della lingua volgare e sulla supremazia del colore o del disegno tessendo le lodi dell'artista Tiziano
Lingua: Italiano
Paese: Italia
Ruolo: Tipografo
Periodo: 1508 - 1578
Note biografiche: Nato intorno al primo decennio del XVI secolo a Trino nel Vercellese (la data del 1508 non è precisa), si trasferì a Venezia nel 1523 dove il padre Giovanni gli affidò la gestione dell'officina tipografica. Conservò la marca, la fenice che risorge dalle fiamme, con la sola sostituzione delle proprie iniziali a quelle del padre, ma in italiano ("G. G. F."), e alternando vari motti: "De la mia morte eterna vita io vivo", "Semper eadem", "Vivo morte recepta". La dote che gli portò la moglie Lucrezia Bin fu utilizzata per potenziare la tipografia, provvedendola di caratteri nuovi, fregi e iniziali figurate; l'officina divenne in questo modo una delle più provviste di Venezia e una delle più apprezzate per novità e distinzione. La sua bottega a Venezia, la cosiddetta Libreria della Fenice, era anche luogo d'incontro per uomini di lettere. Aveva botteghe succursali a Napoli, a Bologna e a Ferrara. Manteneva inoltre intensi rapporti commerciali e corrispondenza con librai italiani e stranieri. Donava regolarmente esemplari con belle legature, tagli dorati e fogli in carta turchina ai grandi del suo tempo e ne era ricambiato. Da Carlo V ricevette un'opera d'arte raffigurante la fenice, oltre a un privilegio attestante antica nobiltà, confermatogli da Massimiliano II. Il Senato veneto gli conferì la cittadinanza. Ottenne anche delle cariche politiche notevoli. Giolito godette della lode indiscussa dei contemporanei: per esempio Torquato Tasso, in una lettera a Scipione Gonzaga del 15 ottobre 1584, gli conferisce, insieme con Aldo Manuzio, il primato fra i tipografi. Con le sue lettere parlanti diede inizio a una vera e propria voga tipografica tanto che vi trassero ispirazione incisori e stampatori per tutto il secolo, pur trattando anche altri argomenti, dalla religione agli aspetti della vita quotidiana, alla caccia, agli animali
Lingua: Italiano
Paese: Italia
Ruolo: Dedicatario
Periodo: 1522 circa - 1581
Note biografiche: Figlia di Pietro Antonio Sanseverino, principe di Bisignano, e di Giulia Orsini, nipote del papa Giulio II, apparteneva ad una delle più grandi famiglie dell'aristocrazia napoletana filospagnola. Nel 1542 sposò Fernando de Mendoza y Alarcon, marchese di Valle Siciliana, restando vedova dopo circa dieci anni di matrimonio. La principessa di Bisignano, insieme a un'altra nobildonna partenopea Laura Terracina, partecipava attivamente alla vita culturale del tempo, intrattenendo rapporti con l'officina editoriale veneziana di Gabriele Giolito, che ebbe un ruolo fondamentale nella diffusione del poema ariostesco, attraverso agenti letterari come Lodovico Domenichi e Marco Antonio Passero. Nel 1544 Dianora pubblicò "Stanze sopra una stanza di Messer Ludovico Ariosto", primo esempio di trasmutazione della poesia di Ariosto in aria napoletana: l'attenzione per l'Orlando Furioso diventò spunto per esperimenti lirico–narrativi incentrati sul riutilizzo della materia narrata, generando "la glosa en verso italiano", genere lirico per tematiche amorose e/o elegiache, frutto del sodalizio tra potere spagnolo e aristocrazia napoletana e il conseguente scambio osmotico tra le due tradizioni. Superstite della produzione lirica di Dianora è solo un altro sonetto "Né 'l ciel sereno mai girando intorno", dedicato ad Irene Spilimbergo e contenuto in una silloge in memoria della giovane pittrice morta prematuramente. In esso si rintracciano le influenze dei più illustri poeti del tempo come Ludovico Dolce, Girolamo Muzio, Luigi Tansillo, Bernardo e Torquato Tasso, Benedetto Varchi, e l'inserimento di Dianora in questo consolidato gruppo culturale testimoniato dalle numerose attestazioni di stima coeve: Lodovico Domenichi, per esempio, definì Dianora come "la nuova Saffo" nel suo scritto "Le nobiltà delle donne"
Lingua: Italiano
Paese: Italia
Contenuto in
L'opera di Solino è meramente compilativa. Ha raccolto, per comporre la sua 'Collectanea rerum memorabilium', le notizie più curiose del mondo allora conosciuto, contenute nella Storia Naturale di Plinio il Vecchio, nella Chorographia di Pomponio Mela, nell'opera di Svetonio e, con ogni probabilità, anche da quella di Marco Terenzio Varrone, elaborandone una sintesi che ebbe molto successo nel Medioevo dal sec. V al XV (nel secolo V il principe Teodosio curò o fece curare un'edizione dell'opera, la quale, testo scolastico già nel sec. VI, fu usata o ricordata da molti scrittori, per es., Agostino, Marziano Capella, Prisciano, Isidoro) . Leggendo tali autori, Solino avrebbe annotato le cose più strane e meravigliose inerenti a popoli, usanze, animali e piante illustrandole all'interno di una cornice geografica. Il primo capitolo del testo inizia con un'introduzione che si può dividere in due parti: la prima dedicata a Roma e alla storia romana fino ad Augusto; la seconda all'uomo (antropologia e fisiologia). A partire dal secondo capitolo comincia la vera e propria descrizione. L'opera appare come una raccolta di "curiosità", con speciale riferimento ai caratteri fisici e sociali dei popoli esotici, agli animali, ai vegetali e ai minerali. L'autore si è proposto di scrivere un libro di piacevole lettura (nonostante lo stile sia artificioso) non scientifico. L'opera presenta due prefazioni: la prima è dedicata a un Adventus, che difficilmente si potrà identificare con Oclatmius Adventus, console nel 218 d. C.; la seconda a un ignoto, col quale l'autore si rammarica del fatto che la sua opera sia stata pubblicata contro sua volontà ancora incompiuta, augurandosi che la nuova edizione faccia scomparire l'antica. Probabilmente questa seconda edizione non proviene da Solino, ma è una falsificazione medievale. Dubbio è anche se Solino sia stato il vero autore dell'opera o invece abbia semplicemente ridotto in compendio i Collectanea già compilati da un ignoto un secolo prima e se abbia direttamente attinto a Plinio e a Mela, o piuttosto a una più antica corografia a noi ignota (fondata su di una precedente corografia varro–sallustiana, fonte di Mela), dalla quale dipenderebbe anche Plinio
Fenice su fiamme che si sprigionano da anfora recante le iniziali G.G.F. L'anfora è sorretta da due satiri alati.
Fenice, rivolta al sole, su fiamme che si sprigionano da globo alato recante le iniziali G.G.F.
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IRCRES (GE) - ISEM | UTENZA: Y.I.1 | No | Biblioteca |